ALMANACCO ROCK

Buon Compleanno Neil

Introverso, incostante, lunatico, solitario, geniale: Quanti aggettivi sono stati usati per Neil Young. E ogni volta che si credeva di averlo fotografato nel modo più efficace  lui ha scartato di lato, è andato verso il futuro o si è ritrovato nel passato, meraviglioso per l’incoscienza di chi vive solo per la propria musica e la propria creatività,  visceralmente legato alla cultura e all’anima degli anni sessanta, senza mai temere di confrontarsi con i nuovi modelli che la musica ha proposto con il passare del tempo, dal Punk, all’elettronica fino al Grunge.

Una carriera lunghissima, piena di successi, di canzoni che sono leggenda, capolavori assoluti che hanno ispirato tanti musicisti, ma anche una vita complicata, fatta di cadute e risalite, dove indubbiamente il carattere non semplice ha influito su una carriera comunque luminosa.

Neil Young nasce il 12 novembre del 1945 in Canada: quella di Neil non è un’ infanzia facile a causa di alcune malattie che lo segnano nel fisico e nell’animo, così spinto dalla madre, anche per superare queste crisi, sceglie ben presto la carriera musicale. Il Canada di quei tempi non era il posto ideale per emergere, si fa quindi strada la necessità di emigrare più a Sud, verso gli Stati Uniti. Proprio qui incontra Stephen Stills e il bassista Bruce Palmer, siamo a metà degli anni sessanta e nascono i Buffalo Springfield.

Difficile da collocare in un gruppo per il suo carattere arcigno, nel 1968 decide di iniziare la sua carriera da solista. Il primo album porta il suo nome: è un disco dolce ed appassionato dove i prodromi e le sfumature musicali che caratterizzeranno la sua carriera sono già ben evidenti, canzoni a volte tristi e angosciate come “The Loner”, altre rilassate e orecchiabili “ The old laughing lady”, altre ancora inquietanti come la bellissima “Last trip to Tulsa”, un mix di sensazioni, emozioni , stati d’animo, tutto quanto transita dal suo universo.

Varietà di stili e registri che ritroviamo anche nei lavori successivi, anche in collaborazione ad esempio alla fine degli anni sessanta con i Crazy Horse o quando la sua strada si intreccia di nuovo con quella di Stills per l’incredibile avventura con Nash e Crosby, da questo super gruppo nasceranno una serie di fortunati concerti che nel 1971 verranno testimoniati dallo storico doppio album “Four way street”.

Gli anni settanta sono gli anni dei suoi capolavori; nel 1970 pubblica “After The gold rush” e successivamente uno degli album più venduti della storia del Rock, ovvero “Harvest”. Sensuale, dolce, dirompente, l’abum contiene canzoni come “Old Man”, “Alabama”, “Heart of gold” (solo per citarne alcune). Sono gli anni della sperimentazione, non solo musicale: produce infatti un film “ Journey through the past” a metà tra l’autobiografico e la denuncia, il risultato però si dimostrerà alquanto fallimentare.

Siamo a cavallo tra i primi anni settanta e la metà del decennio e anche gli album del periodo non sono fortunatissimi ( “Times Fades away”, “On the beach e Tonight’s the night”).  Ma ecco che nel 1975 arriva “Zuma” a ridare nuova linfa alle sue fortune commerciali. In questa opera Young si ricorda di essere anche un ottimo chitarrista elettrico e la prova che ne dà è davvero fulminante.

Nel 1979 Young incide  “ Rust never sleeps” che ottiene un ottimo successo di pubblico e di critica. Il disco è seguito dall’omonimo tour, di nuovo accompagnato dai Crazy Horse.

Questo è un periodo particolarmente creativo di Young che sul finire della decade sfodera la sua straordinaria capacità di sintesi e si pone come interlocutore privilegiato di tutto il movimento punk e new wave. Un inno vero è proprio in questo senso è la canzone “Hey hey, my my (into the black)”, caposaldo naturale dei primi vent’anni del rock’n’roll con un testo da brividi ed una frase entrata nella “letteratura del rock”  «It’s better to burn out than to fade away» «è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente» ( Kurt Cobain ad esempio nella lettera scritta prima di suicidarsi il 5 aprile 1994 la cita esplicitamente), con la citazione del Re Elvis e di Johnny Rotten dei Sex Pistols. Ed è sempre da questa canzone che Dennis Hopper (il protagonista e regista di “Easy Rider”) trova il titolo per un suo film tragico sulla condizione giovanile “ Out of the Blue”.

Young arriva così agli anni ottanta pieno di idee e tanta energia per realizzarle, anche se pieno di contraddizioni e qualche trasformismo eccessivo, ma anche qualche ritorno alle origini come nel caso dell’Album “This note’s for you”, pieno di suoni blues, jazz con ampio uso di fiati e grande ironia.

Gli anni ’90 sono gli anni del Grunge e Neil Young ne è considerato una sorta di padrino.

Nel 1992 Young opta per un ritorno alle atmosfere acustiche con l’Album “ Harvest Moon”. Nel 1994 il suo legame con il Grunge viene ribadito da “Sleeps with Angels”  album dedicato alla memoria di Cobain, mentre dalla collaborazione con i Pearl Jam,  prende forma la pubblicazione di “ Mirror Ball” (1995).

Una menzione  particolare merita  la canzone Philadelphia, scritta per l’omonimo film nel 1994, considerata uno dei suoi capolavori e per la quale ricevette una nomination ai premi Oscar come migliore canzone.

Nella seconda metà degli anni ‘90 collabora ancora con i Crazy Horse nell’album “Broken Arrow” (1996) e con i compagni di un tempo Crosby, Stills & Nash.

Gli anni 2000 sono gli anni della maturità artistica, impegnato perlopiù in tour e ingaggiato per la grande fama e personalità artistica ormai divenuta leggendaria: i progetti più importanti di questo periodo sono senza dubbio “ Greendale”  del 2003 “ The Monsanto Years” del 2015 e “ The Visitor” del 2017 dove nella  Promise of the Real, il cantautore canadese esprime tutto il suo disprezzo per la politica di Trump.

Buon compleanno Neil, buon compleanno icona! Ogni giorno, in ogni momento, sempre “ Rock and roll can never die”.

Testo di Giuseppe Frascella