Guns N’ Roses: Gladiatori al Circo Massimo

Quando pensi ad un concerto dei Guns N’ Roses non puoi evitare che ti assalga il dubbio di assistere ad una specie di rituale nostalgico, di costume più che di sostanza, e a chi teme che questo timore sia fondato non gli si può dare torto: l’ ultimo inedito della formazione, per così dire, risale al 2008. Chinese Democracy è il disco più ‘partecipato’ della carriera di Axl Rose, ma solo una piccola costola della loro storia. Se una band del genere, pezzo di storia del rock mondiale e più in generale della musica non vuole diventare una self-tribute band, deve tornare a pubblicare nuova musica e a fornire al pubblico delle nuove chiavi di lettura: in questo tour è quello che hanno deciso di fare.
Non solo un fan degli spoiler, specie se bisogna affrontare sacrifici per essere all’unica data nel tuo Paese, quindi ho fatto di tutto per chiudere gli occhi davanti alle scalette dei live europei che in queste settimane hanno invasato la rete.
Per questo quindi a mia sorpresa, i Guns N’ Roses hanno eseguito anche del materiale non propriamente classico, in particolare Slash ha personalizzato (a volte snaturato) gli assoli di Buckethead e R. Frinck dei brani di Chinese Democracy in scaletta: There Was a Time, This I Love e title track Chinese Democracy.
In termini di paragone è giusto ricordare come l’anno scorso a Firenze ROCKS John Frusciante non si è permesso di eseguire del materiale scritto dai Red Hot Chili Peppers (o da chi per loro) in sua assenza. 
La scelta di Slash e in generale dei Guns è quindi parsa umile oltre che funzionale, dato il limite di questa grande band: quello di aver prodotto meno di quanto avrebbe dovuto.
Non è mancato spazio nemmeno per gli inediti. In particolare il brano Absurd sembra rendere meglio rispetto al sound prodotto in studio, dal mio punto di vista eccessivamente caotico.
Questo perché i Guns N’ Roses sono una band da palco e ieri lo hanno dimostrato nella totalità dei loro elementi. Duff Mckagan in forma fisica perfetta ha sfoggiato il suo made in Seattle con tutta la rabbia punk possibile in una cover degli Stooges.
Stesso dicasi per Richard Fortus, che nel suo ruolo di gregario all’ombra del chitarrista riccio più famoso dell’ hard rock sembra non sbagliare un colpo.
Tanti i riferimenti all’attualità, dal pensiero all’Ucraina in Civil War alla cover di Knockin’ On Heaven’s Door dedicata insieme ad un altro brano al re dei ‘party Bunga Bunga’.
E ora arriviamo a loro, alla coppia di prime donne la cui perenne competizione tanto ha fatto bene alla musica quanto male alla loro stessa carriera.
Slash è stato, dal mio punto di vista, perfetto per passione e dedizione anche quando, preso dall’ improvvisazione, ha letteralmente arrangiato come poteva. I dieci minuti di assolo che anticipano Sweet Child O’ Mine sono qualcosa che difficilmente potrà essere dimenticata dai cinquantamila presenti.
 
Axl Rose invece all’inizio ha destato una prevedibile preoccupazione, ma sorprendentemente carbura nel tempo, lasciando che la sua voce, per quanto possibile, si adatti ai brani col trascorrere dell’ interminabile serata. A volte nervoso e teso, ha dato la sensazione di dover dimostrare al pubblico di essere ancora sul pezzo. Quando sembra voglia meccanizzare i suoi movimenti, come un robot farebbe agli occhi di un bambino, pare avere uno sguardo inquietante, ma una volta a suo agio sul pianoforte, come quando esegue November Rain, torna ad essere la persona più delicata del mondo.  
Nella performance di un brano di quella portata c’è stato qualcosa che ha fatto brillare gli occhi al pubblico, in primis al sottoscritto.
Il filo diretto finale con Roma lo ha stabilito però quando ha provato ad indossare una maschera da Gladiatore, invano perché il peso del pezzo di ferro era eccessivo, e i gradi celsius della capitale pure.
Una serata che sembrava interminabile si è conclusa dopo duecento minuti di esibizione. Nessuno spettacolo, nessuna trovata folcloristica, solo tanta, tantissima musica.
E se mentre noi eravamo sulle gambe, Slash se ne andava dal palco camminando sulle braccia, vuol dire che la serata sarebbe potuta continuare all’infinito… fotografia perfetta della loro storia.  
 
Testo di Giancarlo Caracciolo 

Foto ricordo (con cellulare) di Fabio De Vincentiis