MùM a Bari

27.09.2022 Bari Nuovo Teatro Abeliano – Il potere salvifico della Cosmogonia dei
Mum (la musica che si fa galassia)
“Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo
chiaroscuro nascono i mostri”.
In questo periodo di profonda incertezza, per noi sognatori (“dreamers, they never
learn”) le occasioni di salvezza rimaste sono davvero poche, e il più delle volte
vanno ricercate con cura o addirittura create. Raschiando con bramosia il fondo del
barile ci restano due/tre alternative, una su tutte: la capacità, anche se momentanea,
di alienarsi attraverso la Nobile Arte delle Muse alla famelica ricerca di un rapimento,
un’estasi”… di una “tranquillità assoluta!” – Quando l’arte sublima la Vita.
Questa volta al “mayday” hanno risposto inaspettatamente e prontamente i Mum, di
ritorno in Italia dopo dieci anni esatti dall’uscita di “Smilewound”. Gruppo islandese
formatosi nel ’97, che nel tempo ha subito diverse metamorfosi sia nella forma che
nella sostanza. La scelta del contesto in cui ricreare quell’aura di magia in una
dimensione parallela, che li ha sempre caratterizzati e contraddistinti, è perfetta e
priva di sbavature: un piccolo teatro “sottoterra” di quartiere, con 300 sedute,
semplice e senza tempo. Luogo ideale per lasciarsi andare a un live tanto atteso
quanto carico di aspettative, che promette un viaggio incantato nel passato,
attraverso chicche selezionate dal loro repertorio più che ventennale, e una ritrovata
speranza nel futuro con brani “brand new” provenienti dal loro ultimo lavoro (ancora
senza nome) registrato in Puglia tra ulivi secolari, vigneti, profumo di mosto e di
salsedine.
La curiosità è tanta così come la voglia di lasciarmi trasportare dalla loro musica che,
grazie a una perfetta combinazione di classico e moderno, folk e sperimentale,
strumenti acustici (non sempre convenzionali) ed elettronica minimale, assume una
forte carica evocativa, una sorta di “Yijing musicale”.
L’enorme sipario di velluto rosso si apre lentamente e vengo investita da una intensa
luce blu. Il palco, completamente avvolto dalla penombra, è sezionato da immensi
fasci di luce monocolore che fanno da cornice al quintetto islandese composto da i
due fondatori Örvar Þóreyjarson Smárason e Gunnar Tynes,la polistrumentista
Sigurlaug Gísladóttir, il percussionista-batterista finlandese Samuli Kosminen e il
chitarrista statunitense Jeffrey Tyler Ludwick.
La musica è l’unica vera protagonista della serata. L’apertura non delude, il gioco di
luci e suoni ci trasporta subito in territori lontani, tra paesaggi sconfinati e distese
incontaminate, ed è già il momento di un loro grande classico “Green Grass of
Tunnel”. Tutto scorre con armonia e fluidità. Mi lascio trasportare dai fasci luminosi,
dalle lunghe code strumentali. Loro appaiono divertenti e divertiti, i classici ragazzi
della porta accanto, dalle indiscusse doti tecniche e dotati di una spiccata sensibilità.
Ascolto curiosa i nuovi brani che mi lasciano un po’ dubbiosa, non ritrovo più tutta la
strumentazione orchestrale e la sperimentazione a cui ci avevano abituati, i pezzi
sono molto più cantati e dalla lunghezza più contenuta. Il pop la fa da padrone. Tutto
ciò comunque non va ad inficiare una serata che si presenta intensa e molto
suggestiva.
Il silenzio rigoroso del pubblico, il cantato che abbraccia l’intero teatro, le melodie
morbide di raffinata dolcezza, le sonorità elettroniche, l’atmosfera rarefatta, fanno sì
che il live si muova evocando splendide immagini: l’Islanda appare come una
“Macondo” del Nord dove i quattro elementi coesistono alla perfezione creando
territori di sconfinata bellezza e malinconia; le cascate, i vulcani, i ghiacciai, l’aurora
boreale, un caleidoscopio di paesaggi e colori.
La serata è una passeggiata nel tempo, un “hoppìpolla” ora nel passato ora nel
futuro, una stanza dove suona un carillon, un fluttuare tra galassie lontane anni luce,
verdi distese a perdita d’occhio fino all’ encore da cardiopalmo, un’ esplosione degna
del primordiale Big Bang. E’ il momento di We “Have a Map Of The Piano”. Il
pubblico ne vorrebbe ancora ma è tempo di andare. Gli ultimi ringraziamenti e una
certezza “Yesterday was Dramatic, Today is Ok”.
Questo concerto potrei definirlo un’esperienza quasi mistica, un “Koyaanisqatsi
musicale” in grado di evocare scenari dalla grande potenza estatica contrapposti a
quelli contemporanei in cui viviamo. I Mum non avranno inventato nulla di nuovo ma
grazie alla loro capacità di giocare con la musica hanno offerto la possibilità di
ritrovare e riscoprire alcune emozioni che erano andate quasi dimenticate, il ricordo
e la speranza si mescolano con eccezionale naturalezza e semplicità, quelle
emozioni necessarie a combattere quei famosi mostri che ognuno di noi, a
prescindere dall’età, continua ad avere sotto il proprio letto e non solo.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono
per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte
fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e
apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” I.C.

Testo e foto di Antonella Di Benedetto